"D'I FIORI E DE LE FOGLIE NOVE" n.6
a cura di
Gian Domenico Mazzocato
"D'I FIORI E DE LE FOGLIE NOVE" n.5 a cura di Gian Domenico Mazzocato
D’I FIORI E DE LE FOGLIE NOVE
N. 6
I fiumi della Divina Commedia
Parte 2
“Fiume” è uno dei termini ad altissima frequenza nella Divina Commedia e nell’intera opera dantesca. Sia in significato fisico, come entità geografica, sia con significato simbolico. In Paradiso XX, 19-21 Dante per descrivere la voce dell’allegorica aquila di Giove: …udir mi parve un mormorar di fiume / che scende chiaro giù di pietra in pietra, / mostrando l’ubertà del suo cacume. Dunque, immagine di potenza, forza, violenza anche. Dante si ricorda Ezechiele (43, 2) “vox erat ei quasi vox aquarum multarum” (la sua voce era come quella di più corsi d’acqua).
Ma i fiumi fisici? Due i fiumi del Purgatorio. Il Lete (tre citazioni nel Purgatorio tra canti XXVIII e XXIX a partire da Purgatorio XXVIII, 25- 33) e l’Eunoè (Purgatorio XXXIII, 127-145). Il Lete è il fiume della dimenticanza, immerso nel quale, Dante si sgrava della zavorra delle cose mal fatte. Di ascendenza classica: ne parla Platone nel X libro della Repubblica, nella narrazione del mito di Er, disceso nell’oltretomba per apprendere i misteri della reincarnazione delle anime. Lete da λανθάνω (lanthano, sono nascosto, a sua volta da una radice leth, che allude al dimenticare). È connesso anche col termine che in greco indica la verità, ἀλήθεια (aletheia). L’α che precede il termine è un’α privativo. Insomma, ἀλήθεια vale rivelazione, il non stare nascosto.
L’Eunoè è invece il fiume della buona mente, della memoria delle cose buone secondo una costruzione verbale che Dante orecchia da qualche lessico in cui si trovano tracce di vocaboli greci: εὐ e νούς (eu,nous, cioè buona mente).
Le acque del fiume “funzionano” se bevute assieme a quelle del Lete che cancellano la memoria del peccato. (A essere precisi nelle acque del Lete Dante si tuffa, quelle dell’Eunoè le beve).
I due fiumi hanno un’unica sorgente, soprannaturale, a differenza dei fiumi infernali. Purgatorio, XXXVIII, 121-133: L’acqua che vedi non surge di vena / che ristori vapor che gel converta, / come fiume ch’acquista e perde lena; // ma esce di fontana salda e certa, / che tanto dal voler di Dio riprende, / quant’ella versa da due parti aperta.
A spiegare è Matelda che risolve anche dei dubbi di Dante. Stazio (Purgatorio XXI, 43-54) gli aveva detto che nel Purgatorio non si verificano fenomeni meteorologici. Perché allora le foglie stormiscono come mosse dal vento? Come mai vi sono fiumi la cui esistenza dipende da evaporazione e pioggia? Matelda gli spiega che lo stormire di foglie è generato dal moto circolare dei cieli che si ripercuote dal primo cielo sulla cima degli alberi. E l’acqua è originata da una sorgente divina, che poi si biforca in due corsi d’acqua diversi.
Nell’immagine: Dante e Beatrice sulle sponde del Lete (Cristóbal Rojas).
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