21.01.21 | La Commedia in pillole – Pillola n. 3 a cura di Giorgio De Conti

Eventi

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    La Commedia in pillole

     Pillola n.3

 

    a cura di Giorgio De Conti

 

 

                                         21.01.21

La Commedia in pillole Pillola n.3 a cura di Giorgio De Conti

 

Quando: 21-Gennaio  2021
Dove: Treviso

Purg. Canto III vv. 106-111
Pillola n. 3
Nel III canto del Purgatorio a Dante e Virgilio appare un gruppo di anime che procede lentamente.
Da questa schiera si stacca con naturalezza Manfredi, senza nemmeno chiedere a Dante di fermarsi. È un nuovo esempio della tecnica degli incontri purgatoriali, definita da Momigliano del" bassorilievo". La celebre descrizione di Manfredi è un classico esempio del sincretismo culturale di Dante. Il poeta intende nobilitare il carattere regale e affascinante di questo sventurato principe, morto eroicamente in battaglia, attraverso richiami stilistici della Bibbia e della Chanson de Roland.
Infatti, David nel Primo Libro dei Re (XVI, 12) "Erat autem rufus et pulcher aspectu decoraque facie" (Era bello di aspetto e di volto dignitoso) e per Dante è simbolo di umiltà come qui Manfredi.
Ma "bels fut e forz e de grant vasselage" (bello fu e forte e di gran valore) è anche Orlando il coraggioso e nobile cavaliere della Chanson de Roland (v. 2278). In un solo verso si concentrano l'immagine che nel mondo terreno era ancora famosa, visto che Manfredi era morto nel 1266, e la nuova immagine, quella eterna, segnata indelebilmente dalla morte. L'antitesi tra queste due immagini è evidenziata dalla congiunzione avversativa ma. È proprio questo sguardo sfregiato, la cui superba fierezza è dimezzata, spezzata dalla violenza delle sue stesse scelte, a rappresentare l'essenza del personaggio: non più re Manfredi indomito nemico della Chiesa e dei Guelfi, ma semplicemente Manfredi, lo spirito radioso suddito del regno di Dio. Inoltre, l'anima dell'imperatore, a Dante che umilmente risponde di non averlo mai visto, mostra la ferita del petto, stabilendo una analogia singolare e drammatica con la vicenda miracolosa di Gesù, che appare agli apostoli, incapaci di riconoscerlo, mostrando le sue ferite (Giovanni, XX, 20,27).
Dante vuole creare intorno a questo principe sventurato una agiografia di scomunicato-ghibellino e vuole esaltare nel suo esempio storico l'infinita bontà di Dio contro la persecuzione degli uomini di Chiesa. Tutto l'episodio, pertanto, può essere letto come l'apoteosi del perdono.
Commento a cura di Giorgio De Conti.