La Commedia in pillole
Pillola n.6
a cura di Giorgio De Conti
21.04.21
La Commedia in pillole Pillola n.6 a cura di Giorgio De Conti
Quando: 21-Aprile 2021
Dove: Treviso
Inf. Canto X vv. 52-63
Pillola n. 6
Il personaggio che si mostra all'improvviso e interrompe bruscamente il colloquio con Farinata è Cavalcante dei Cavalcanti (padre di Guido, compagno di esperienze poetiche e "primo amico" di Dante).
Il suo atteggiamento, però, è ben diverso da quello del suo compagno di pena: Farinata si erge con il petto e con la fronte, è in piedi, giganteggia nella sua sdegnosa statuarietà e rimane indifferente sia al tormento della pena sia alle parole e al dramma di Cavalcanti. Quest'ultimo è in ginocchio, chiede, piange, è soggetto a una inquietudine che lo induce a continui movimenti fino all'amara ricaduta nel sepolcro.
Questa differente postura riflette il diverso stato d'animo del padre di Guido: come tutti i pensieri di Farinata sono ossessivamente occupati dalla politica, così quelli di Cavalcanti lo sono dalla sorte del figlio: la situazione dei due dannati è, così, perfettamente speculare: un Ghibellino da una parte, un Guelfo dall'altra, addirittura imparentati tra loro perché Guido Cavalcanti aveva sposato, per ragioni politiche, Beatrice degli Uberti, figlia di Farinata: i due epicurei che diedero tanta importanza all'amicizia e alla socialità ora si ignorano pur essendo nello stesso sepolcro.
Il subitaneo cambiamento di personaggio, da Farinata a Cavalcanti, conferisce al quadro il rilievo spettacolare e tematico di una Sacra Rappresentazione: tutti gli attori, infatti, sono contemporaneamente presenti su una scena fissa, dove, dietro i singoli drammi umani, si recita un dramma cristiano, il destino dell'anima e la sua perdizione, a causa della negazione dello spirito proprio degli Epicurei.
Ma il dramma della perdizione è fatto recitare anche a un personaggio assente, Guido Cavalcanti, evocato dal padre attraverso l'altezza d'ingegno, che non è altro che superbia, cioè ricerca della verità con i soli mezzi dell'uomo, la ragione e la conoscenza. Da questa colpa ora Dante è immune: "Da me stesso non vegno" è ammissione di umiltà, riconoscimento di una guida superiore che muove il suo cammino verso la salvezza. Per questo Guido è fissato eternamente nel suo destino di morte spirituale dalla sentenza di Dante "forse cui Guido vostro ebbe a disdegno". Il suo disdegno epicureo-averroistico verso Beatrice (Teologia e Fede) rende spiritualmente sterile l'altezza del suo ingegno e lo priva della salvezza.
Dante, incontrando Farinata e Cavalcanti (e attraverso il padre, Guido), si lascia alle spalle la propria giovinezza e i propri errori di allora: le lotte di fazione e l'averroismo la cui condanna si legge chiaramente nei dialoghi con i due fiorentini. Ed è condanna dell'insufficienza dei soli progetti terreni, perseguiti con le sole forze umane e limitati al nostro mondo, quand'anche fossero la patria e la conoscenza.
Ed è curioso che Dante si faccia mediatore umano tra Farinata e Cavalcanti, ormai entrambi sullo stesso piano: chiedendo al primo di riferire al secondo che Guido è ancora vivo, allaccia una relazione tra due anime che fino a quel momento si erano ignorate.
Commento a cura di Giorgio De Conti.